Wednesday, July 5, 2017

Alla scoperta del Sudafrica

Il tema del viaggio ha sempre affascinato l’uomo. Viaggiare è si un modo per svagarsi, divertirsi, ma soprattutto per uscir fuori dalla propria quotidianità e scoprirne una nuova. Senza pregiudizi, solo con tanta curiosità.
Così quando sono partita per il Sudafrica avevo molte aspettative di quello che avrei potuto fare una volta arrivata, che posti vedere, che luoghi visitare. Ma come succede spesso quando si viaggia in famiglia e si viene ospitati in casa: i più piccoli non hanno molta voce in capitolo sulle decisioni da prendere e così bisogna "ubbidire" ai dettami altrui. Per fortuna mia zia ha insistito molto per farci fare dei giri in alcuni dei posti più suggestivi di Durban e dintorni, se no ci saremmo ritrovati a girovagare solamente per negozi "occidentali" o passare solamente delle giornate da "turisti" e non da viaggiatori. Anche se avremmo potuto fare molto di più, penso sempre che quel viaggio è stato il  punto di partenza per qualcosa di più grande che mi piacerebbe approfondire in futuro...
(Se volete qui trovate il primo post sul mio viaggio e qui quello sugli Zulu)
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Il Sudafrica è un luogo magico, caratterizzato da un ambiente incontaminato e molto diversificato può offrire al viaggiatore diversi itinerari in base a ciò che più desidera. Dal deserto alla savana, dalle montagne all'oceano. Non mancano le tracce di una cultura ricca di storia e di tradizioni fatte di musica e colori, così come città cresciute in altezza e brulicanti di ristoranti e centri commerciali.
In questo post vorrei parlare dei luoghi che ho visitato attorno a Durban. Naturalmente il Sudafrica è molto di più di quello che io descriverò qui ( l'1% di quello che si può vedere), ma questo è quello che ho trovato molto interessante ai fini della ricerca sugli Zulu che ho fatto. Spero possa piacervi! :)
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LA VALLE DELLE MILLE COLLINE

Prende il nome dalle tante colline, scogliere e valli scolpite nel corso dei secoli dalla forza del fiume Umgeni, che nasce tra le lontane montagne Drakensberg e sfocia infine  nell’Oceano Indiano. 
Impiegammo circa un’ora per arrivare alla Valle delle Mille Colline e mentre ci avvicinavamo sempre più a quel luogo vedevamo attorno ridursi visibilmente il caos ed il traffico della vita nella grande città, addentrandoci invece nel pieno della natura. Scendemmo dalla macchina che stava cominciando a piovigginare, scoprii che era normale nel periodo estivo, caratterizzato da freschi temporali pomeridiani. 
Mi guardai attorno e rimasi senza parole. Stavo ammirando il meraviglioso panorama delle antiche terre del KwaZulu Natal. Eravamo in cima ad una altura e davanti a noi quasi all’infinito si succedevano le altre colline ricche di vegetazione, color verde smeraldo. Il cielo era costellato da nuvole grigie e sprazzi di luce dorata. Sembrava di essere in paradiso, mi sentivo proprio come gli zulu, la “Gente del Cielo”. L’aria era frizzante, tipica delle alture, ed un fresco odore di natura mi inebriava.
Ci incamminammo su per il viottolo terroso quando una guida esperta del posto ci venne incontro e ci accompagnò verso un tipico villaggio Zulu, tra le capanne di paglia a forma alveare, mentre in sottofondo risuonava  una musica tribale creata con il battito dei tamburi.  All’entrata un ragazzo vestito con il tipico grembiule zulu di pelle animale ci fece sedere su scalini di pietra disposti ad arco coperti da un tetto in legno. Di fronte a noi il suggestivo panorama roccioso. Qui la guida ci disse che avremmo assistito ad una rappresentazione di alcune scene tipiche di vita zulu, attraverso energici canti e danze in costume che ci avrebbero portati indietro nel tempo. All’improvviso dei ragazzi con il tipico abbigliamento zulu, con annessa lancia e scudo, entrarono in scena correndo al ritmo dei tamburi e cominciarono a cantare e ballare. Alcuni fischiavano, altri battevano i piedi e le mani, mentre uno di loro colpiva il petto con la lancia. La musica si fermò ed uno dei ragazzi rimase in scesa insieme ad una ragazza con un vaso in testa, stava andando a prendere dell’acqua. Così iniziò la rappresentazione del corteggiamento zulu, recitato nella loro lingua. I due ragazzi si fidanzarono e cominciarono a ballare una danza tribale caratterizzata dal ritmo frenetico del tamburo, dal battere a tempo i piedi per terra e poi rialzarli, in successione,  fino quasi a toccare la testa, mentre delle volte le alzavano ad angolo retto e colpivano il ginocchio con una mano. Donne e uomini ballavano così in mezzo alla scena e noi li guardavamo entusiasti ed increduli. Pensando che quella era una rappresentazione, fatta più e più volte allo stesso modo, ma che in passato, e forse raramente in qualche villaggio zulu, era una quotidianità.   
Gli uomini poi cominciarono a danzare in modo più frenetico, quasi saltando sui piedi, alzando le gambe e girando su se stessi. Alla fine tutti insieme cantarono una canzone melodiosa ed orecchiabile, contraddistinta dai toni bassi degli uomini e quelli acuti delle donne. Nei successivi giorni avrei continuato a ricordare quella melodia. 
Quando la rappresentazione finì percorremmo una stradina che ci condusse tra alcune capanne zulu. Costruite con paglia, erba e bastoncini di legno,  ogni capanna era grande 4 metri di diametro ed alta 2 metri. La porta era molto bassa cosi per entrare dovemmo abbassarci. Internamente in mezzo c’èra un grosso palo di legno che sosteneva la parte alta della capanna, mentre ai lati c’èra un piccolo scalino di pietra lungo il perimetro, dove ci si poteva sedere. Per terra un piccolo braciere spento ed alcuni utensili della cucina, come delle scodelle e dei vasi. Alzando lo sguardo notai un lungo tappeto arrotolato fatto di piccoli legnetti  che scoprii essere il letto dove si coricavano la notte. 
Una cosa che mi colpì molto quando entrai dentro la capanna fu l’odore di affumicato, causato dal fatto che cucinavano all’interno, così come ci mostrò una donna del posto. E anche come scritto in precedenza, era un abitacolo molto buio, ma fresco. 
Le capanne stavano a poca distanza tra di loro ed erano collegate da piccoli sentieri di pietra. Al centro una capanna più grande delle altre che scoprii fosse quella destinata alla persona più importante del villaggio, il capo. 
Sapevo che la rappresentazione che avevamo visto era stata eseguita centinaia di volte allo stesso modo per scopi turistici e che probabilmente non tutti i ragazzi partecipavano abitavano li tra quelle colline, in quei villaggi. Ma allo stesso tempo sapevo che quella stessa rappresentazione era stata unica per me e per la mia famiglia, e che non ci sarebbe capitata occasione migliore per conoscere una popolazione così importante e caratteristica del Sudafrica come quella Zulu. 






HLUHLUWE UMFOLOZI PARK

Qualche giorno dopo capimmo che era giunto il momento di immergerci in un’altra delle avventure più tipiche del continente africano, il safari. Il Sudafrica ne possiede quasi 300 tra parchi nazionali e riserve. Noi essendo nell’area del KwaZulu Natal decidemmo di condurre la nostra esperienza tra la lussureggiante vegetazione subtropicale del Hluhluwe Umfolozi Park. Prima riserva faunistica del Sudafrica , istituita nel 1895 allo scopo di proteggere il rinoceronte dal rischio d’estinzione, al tempo erano due riserve distinte ma nel 1992 vennero unificate costituendo un parco che si estende per 96 mila ettari. 
Quella mattina un signore, che ci avrebbe fatto da guida durante il safari, venne a prenderci direttamente a casa e così partimmo a bordo di un Suv, l’ideale data l’ampiezza e l’altezza dei finestrini. Infatti durante il safari non si può scendere mai dalla macchina ed è importante avere una buona visibilità dall’interno del veicolo. 
L’ideale per un safari è partire molto presto per riuscire a vedere gli animali mangiare e bere lungo le rive di qualche fiume, ma data la distanza dal parco riuscimmo ad arrivare solo alle dieci del mattino. 
Bisogna innanzitutto dire che un safari non è uno zoo dove gli animali sono messi lì solo per essere guardati, ma al contrario vivono liberi e quindi è molto raro vederli vicino le stradine create per il passaggio delle macchine. 
Il primo quarto d’ora lo passammo gridando dalla gioia ‹‹Impala, impala!››, vedendo dei piccoli animali simili a dei cervi dal manto bruno-rossiccio. Ne avvistammo almeno un centinaio e ci abituammo all’idea di trovarne in giro. Gli impala sono un po’ come i piccioni a piazza San Marco. 
Un buon safari è tale se si riescono a vedere tutti e cinque i Big Five, cioè bufalo, elefante, leone, leopardo e rinoceronte. Animali rappresentati anche sui soldi sudafricani, il Rand. Ma al tempo stesso quello che colpisce di un safari è l’attesa, nonostante si riescano a vedere pochi animali, è bello stare lì ad osservare tra gli alberi ed i cespugli qualche coda, qualche manto. Ed anche se alla fine saranno pochi gli animali esotici visti, quello che rimarrà nel cuore sarà l’impegno messo per vedere quei pochi esseri viventi in libertà. 
Non è difficile vedere le zebre, al punto tale che due di esse ci attraversarono la strada imperterrite davanti alla macchina. Tra gli alberi riuscimmo a notare qualche scimmietta, un facocero con i cuccioletti,  qualche ippopotamo, ed in lontananza riuscimmo a vedere, grazie ad un binocolo, delle giraffe ed un elefante che affaticato dal caldo e dalle mosche muoveva incessantemente le orecchie. 
Per pranzo mangiammo in una deliziosa zona adatta alla pausa, con tavoli e sedili di legno, sempre in mezzo alla natura ma più protetti da alcune recinzioni. La guida portò con se un delizioso picnic con pollo, sandwich, patatine, insalata e bibite dolci. 
Dopo esserci rifocillati ci mettemmo nuovamente in macchina, avevamo intenzione di cercare gli ultimi due Big Five che mancavano all’appello: il leone ed il leopardo. Si trattava di una caccia al tesoro, guardavamo attentamente in mezzo agli alberi ed ai cespugli in cerca di una coda o di qualche occhio. Solo dopo un’ora di attenta ricerca riuscimmo a scorgere una leonessa. Era coricata all’ombra di un albero di fronte ad una piccola pozza d’acqua. Ci dava le spalle ma quando alzò la testa e si mise di profilo ci emozionammo per quel gesto, come se ci avesse salutato. L’altro grande felino, il leopardo, sfuggente e capace di mimetizzarsi e rendersi quasi invisibile, non riuscimmo mai a vederlo. Forse il fatto che solo gli Zulu più importanti potessero portare la sua pelle addosso era un indizio del fatto che il leopardo non si era presentato davanti ai nostri occhi perché ancora non eravamo pronti, degni di poterlo osservare. 
Quella sera ripensai alla grandissima esperienza che avevo fatto, chiunque ami viaggiare dovrebbe farlo almeno una volta nella vita. Osservare gli animali completamente liberi nel loro ambiente naturale è una cosa piuttosto rara per noi occidentali abituati a vederli rinchiusi nelle gabbie. E questo può insegnare molto, ad esempio che di tutto il creato l’uomo è l’animale più feroce, quello che lotta ad armi impari, l’unico che uccide più di quanto mangia. E’ questa particolare riflessione mi rimarrà per sempre nel cuore, soprattutto di ritorno da un posto così fantastico.
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Questi ultimi posti che descriverò non sono stati interessanti ai fini della mia ricerca sugli Zulu, ma molto stimolanti per quanto riguarda la scoperta di nuovi paesaggi ed animali.





CROCODILE CREEK 

Il nome potrebbe ricordare il famoso "Crocodile Dundee" che ha accompagnato parte della mia infanzia, come quelli di moltissimi altri ragazzi. Infatti l'immagine che mi viene alla mente non appena penso a quel giorno è quella di un uomo con un grosso cappello nero sulla testa, abbronzato e dai capelli dorati, come il nostro caro Paul Hogan, e tante disavventure alle spalle con i suoi cari coccodrilli ( gli mancavano tre dita della mano destra).
Entrati nella riserva, siamo stati accolti da un ragazzo che ci ha subito raccontato la storia del torrente che ci circondava e la varietà di coccodrilli che avremmo visto quel giorno. Dopo qualche informazione preliminare circa le differenze riguardanti le taglie dei più grossi esemplari che si trovavano li dentro, ci ha portati a vedere con i nostri occhi i "terrificanti" e fin troppo calmi animali. Seguimmo un percorso fatto di passerelle e banchine di legno, sollevate tra i preistorici rettili che giacevano coricati sulla riva. Ricordo ancora l'emozione che provai quando cominciarono a muoversi uno sopra l'altro per ritirarsi dentro l'acqua, come a volersi nascondere da noi. Mi venne alla mente "Jurassic Park" ed il fatto che nonostante siamo così affascinati dalle belve più feroci forse dovremmo lasciare che facciano la loro vita al di fuori della nostra, senza essere spiati, controllati e punzecchiati da qualche bastone fin troppo appuntito. E questa riflessione conta anche per me che quel giorno ho tenuto un piccolo coccodrillo tra le mani, che se avesse potuto mi avrebbe tirato via tre dita della mano, solo che aveva la bocca "legata".








SAINT LUCIA ESTUARY
Un pomeriggio affascinante su di un traghetto che ci ha portato sempre più vicino ( nel rispetto però dell'ambiente) ad osservare i magnifici e letali ippopotami. Un viaggio consigliato per chi ama osservare la fauna e la flora circostante in attesa di scorgere  qualche altro animale che si avvicina al fiume. Ci si può imbattere in aironi, uccelli di ogni tipo, coccodrilli e se si ha un po' di fortuna anche qualche animale bere su qualche sponda. Un tour ben organizzato, la guida  ci ha fatto passare tra le mani un lungo dente di ippopotamo e spiegato come sia tra gli animali più pericolosi della terra.











uSHAKA MARINE WORLD
Nonostante sia stata all'Acquario di Genova, non avevo mai visto nulla del genere per quanto riguarda un parco acquatico con giochi, spettacoli per grandi e piccini e un grande acquario. In questo parco ci si può divertire con i più classici giochi con le canoe, materassini o tubi che finiscono in piscina, ma anche immergere in una grande vasca con gli squali ( naturalmente ben protetti da una gabbia), passeggiare sul fondale e fare snorkeling tra i pesci,  ammirare un bellissimo spettacolo di delfini e foche o camminare nello scafo di una vecchia nave adibita ad acquario. Come all'interno di un relitto affondato abbiamo visto delle specie di pesci tropicali magnifici, coloratissimi e particolari.  Il tutto accompagnato dalla bellezza dell'oceano che stanziava dietro di noi.








Nella valigia, di ritorno dal mio viaggio, ho conservato parecchie emozioni. L’incontro con Sphephelo e con gli zulu mi ha fatto capire che al mondo ci sono tante culture diverse dalla nostra, ma non per questo pericolose o spaventose. Il loro è un mondo fatto di sorrisi, energici sorrisi che regalano a chiunque incontrino. E questo sono riuscita a provarlo sulla mia pelle di ritorno dal safari, ripercorrendo la strada principale. Ai lati infatti si trovavano villaggi pieni di casette costruite con cartoni, lamiere ammassate, dove l’unica occupazione e sussistenza è quella creata dai campi che coltivano e dal cibo che ne ricavano. Mentre percorrevamo quella strada un gruppo di bambini seguiti da un anziano signore ci vennero incontro saltellando dalla felicità e salutandoci muovendo affannosamente il braccio in alto. Mi girai e li salutai anche io provocando in essi un ulteriore grido di felicità. La guida mi disse che quelle persone amano stare per strada e salutare i turisti che passano di lì, perché ogni saluto li rende felici.
Nonostante il periodo dell’apartheid fosse solo un lontano ricordo nei cuori di molti africani, rimaneva un’indelebile traccia nelle costruzioni degli europei che vivevano li da generazioni. Case vaste, lussuose, ognuna con un giardino e qualcuna anche con una piscina, recintate da muretti e filo spinato, anche elettrico, per paura dei neri. Una contraddizione che permane anche nell’impiego che hanno gli africani come lavorare per qualche famiglia di bianchi, come parcheggiatori o guardiani o tuttofare, portando ad esempio la spesa dal supermarket fino alla macchina per qualche soldo in più. Come se ancora fossero loro gli ospiti segregati di quel luogo e non i diretti abitanti. 
Il rientro fu caratterizzato, e lo è tuttora, da una dolce e quasi piacevole nostalgia, quello che comunemente viene definito “mal d’Africa”, che rimane a lungo nel cuore e nell’animo di chi viene a contatto con il continente nero. Quotidianamente, anche solo per pochi minuti, mi scorrono le immagini di quanto ho visto e fatto, ormai indelebilmente fissate nella memoria. Anche se sono consapevole del fatto che ancora, nonostante la bellissima esperienza, manchi tanto altro da vedere di quel posto. Le mie aspettative prima della partenza erano quelle di avere un’esperienza più impegnata e attiva nei confronti della realtà “ospitante”, soprattutto quella zulu, attraverso un coinvolgimento ancora più partecipativo della vita in villaggio. Mentre il nostro è stato per lo più un viaggio dove siamo stati spettatori delle situazioni, dei turisti.
Questo sarà il nuovo punto di partenza, il nuovo obiettivo, che avrò la prossima volta che visiterò un paese straniero, un’esperienza che vorrei mi aiutasse a contemplare la vita per quello che è, semplice e naturale. E perché no, vorrei camminare a piedi nudi come Sphephelo per sentirmi più vicina alla mia terra. Un terra utopica dove non c’è diversità, ma solo felicità.


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